- Messa con le Comunità di Immigrati
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OMELIA
È con profonda gioia del cuore che saluto tutti voi, fratelli e sorelle, che oggi partecipate a questa solenne Eucaristia.
Saluto la comunità dell’Arcella con il parroco e gli altri sacerdoti che ci accolgono in questa Chiesa dedicata a sant’Antonio di Padova. È interessante notare che Sant’Antonio non è nato in Italia, ma in Portogallo; era quindi un immigrato e ci richiama la cattolicità della Chiesa. È molto bello quindi che noi ci ritroviamo in questa Chiesa insieme con tanti rappresentanti di altri popoli, ma tutti uniti dalla stessa fede. È stata opportunamente scelta per questa celebrazione la festa dell’Epifania di Gesù. Epifania è una parola greca che vuol dire manifestazione. Manifestazione di Gesù a tutte le genti, a tutti i popoli del mondo intero.
Nel Natale Dio si è fatto carne, ma la nascita di Gesù è venuta nel silenzio, nella povertà, nell’umiltà. Sono stati gli angeli che lo hanno annunciato ai pastori, che non vivevano nelle città; vegliavano con i loro greggi sulle colline di Betlemme. Erano anche considerati emarginati e sono stati loro ad andare per primi a Betlemme, ad entrare nella grotta e a riconoscere Gesù.
Gesù che è venuto nel silenzio, nella povertà, nell’umiltà e non ha fatto chiasso, è il Salvatore di tutti gli uomini, di tutti i popoli. Non è venuto solo per un popolo, per il popolo ebreo, ma è venuto per salvare tutta l’umanità e riunire tutti i popoli in una sola famiglia. Ecco cosa significa allora la festa dell’Epifania: Gesù che abbiamo accolto, adorato nel Natale insieme con Maria e Giuseppe, ora lo contempliamo come appartenente a tutti i popoli. Gesù non appartiene ad alcuno in particolare come esclusione per gli altri: è per tutti.
Noi oggi abbiamo anche questa possibilità di vedere riuniti nella celebrazione dell’eucaristia tante nazioni, tanti popoli diversi ma uniti nella stessa fede e nello stesso vincolo dell’amore. Voi sapete che Chiesa cattolica significa universale. Universale perché abbraccia tutti i popoli, ma universale anche perché prende il bene da tutti e lo mette insieme. Se uno vuole rimanere solo se stesso escludendo gli altri è più povero, mentre ci si arricchisce con il confronto e l’incontro con gli altri . Ma tutto questo è molto difficile. Oggi tutti noi italiani, noi che viviamo a Padova, noi veneti e tutti voi che venite da nazioni diverse, siamo chiamati a fare un passo avanti a non rinchiuderci in noi stessi, per realizzare un bene più grande.
Ma questo domanda degli atteggiamenti molto particolari.
Primo di tutto dobbiamo prendere coscienza di una verità profonda: come persone umane noi siamo tutti uguali: creati a immagine e somiglianza di Dio (cf. Genesi 1,26), chiamati ad essere figli di Dio. Non conta se non c’è somiglianza esteriormente, se c’è diversità di razza, colore, lingua, tradizioni. Noi fondamentalmente siamo persone umane. Questa è una grande verità che ci viene insegnata dalla ragione e soprattutto dalla Bibbia: immagine e somiglianza di Dio chiamati ad incontrare l’unico Signore della nostra vita. La nostra fede cristiana rafforza questa verità. Nella storia è accaduto l’episodio di Babele. Gli uomini si sono divisi tra di loro perché non si comprendevano più; l’uno non capiva più l’altro nel linguaggio. Sono così nate nazioni, popoli diversi distribuiti secondo gli stati, le tribù.
A Pentecoste, lo Spirito Santo ha riunito popoli dai linguaggi diversi facendoli comunicare tra loro, plasmando l’unità nella diversità. Oggi c’è un gran mescolamento di popoli: viene chiamata “globalizzazione”, per questo abbiamo bisogno di una rinnovata Pentecoste.
C’è un altro fatto da considerare: la nostra umanità non è capace da sola, senza il Signore, di vivere nella giustizia, nella fraternità, nell’amore. Ci sono gravi ingiustizie all’interno di ciascun popolo ma anche tra i popoli. Per esempio ingiustizie nel commercio, nel distribuirsi i beni della terra. Prevale il potere, l’interesse. Uno vuole essere più forte degli altri. Uno vuole avere i propri interessi al di sopra degli altri e si creano allora tante ingiustizie per cui ci sono tante persone, tanti popoli che emigrano in cerca di fortuna, lavoro, casa, avvenire migliore per i propri figli. Ma qui allora avremo dei problemi, perché se uno deve spartire le proprie cose con gli altri sta molto attento. Vuole tenersi le cose per sé. E ricordatevi voi, che siete qui in Chiesa oggi, che anche il nostro popolo, di Padova, del Veneto, fino a poco tempo fa emigrava all’estero. Noi abbiamo ancora dei sacerdoti della diocesi di Padova che sono a servizio degli italiani all’estero. L’anno scorso alla fine di agosto ho cresimato degli italiani in Germania. Abbiamo italiani in Germania, in Svizzera, non parliamo poi in Australia, Brasile e via dicendo.
Oggi abbiamo questa situazione diversa.
E allora cosa dobbiamo fare?
Vorrei dire a voi fratelli e sorelle che venite da altri popoli: cercate di inserirvi il più pacificamente e il meglio possibile in questa nostra società. La Chiesa prima di tutto vi accoglie. Per noi cattolici non fa differenza che uno venga dall’Africa o dalla Cina o dall’Europa dell’Est: dalla Romania, dalla Russia o da altre parti. Noi prima di tutto ci riconosciamo come persone umane e poi come fratelli e sorelle in Cristo. Questo è l’atteggiamento fondamentale. E poi la diocesi di Padova cerca di accogliere tutti voi dandovi l’opportunità di avere la vostra Chiesa, la vostra comunità, i vostri sacerdoti per celebrare l’Eucaristia e la fede nella vostra lingua, secondo la vostra sensibilità. Questo è un punto molto importante. Nello stesso tempo noi come cristiani e come Chiesa cerchiamo di essere attenti anche alle necessità materiali delle vostre famiglie. Chiediamo prima di tutto che ci sia la giustizia per tutti. Ma la giustizia non basta: ci vuole la carità, ci vuole l’amore. Sono l’amore e la carità cristiana che tante volte fanno andare avanti la giustizia perché aprono i cuori. Perché vivendo la fede noi siamo portati ancora di più a vivere i comandamenti di Dio.
Vorrei aggiungere che è molto importante che ciascuna delle vostre comunità abbia a crescere nella vita cristiana, guidata dai propri sacerdoti, abbia a promuovere gli atteggiamenti propri alle vostre culture. Ciascuna delle vostre comunità etniche dovrebbe inoltre interessarsi dei propri connazionali per aiutarli. Non c’è nulla di peggio, di più pericoloso, di più rischioso di persone che sono emarginate, che si sentono escluse, perché allora sono tentate di ricorrere a mezzi, a pratiche che non sono giuste, morali. Ciascuno di voi, ciascuno delle vostre comunità deve sentirsi impegnato ad aiutare i propri connazionali. E noi come Chiesa, come Caritas, come organizzazioni pastorali della diocesi siamo invitati ad aiutarvi in questa dimensione: inserirvi nella Chiesa, nella società, cercando di mantenere le vostre radici culturali e cristiane. Ma sempre sentendovi parte dell’unica Chiesa.
Voglio aggiungere un’ulteriore riflessione: cari immigrati che vivete qui a Padova, a voi spetta un compito molto grande. Penso che la Provvidenza di Dio abbia stabilito la vostra presenza anche per aiutare noi cristiani di Padova a ricevere nuovo alimento alla nostra fede. Voi portate tanti valori che forse noi popoli più ricchi abbiamo lasciato, messo da parte. Ingannati tante volte dalla ricchezza, dall’attaccamento ai soldi. Fate bene attenzione perché un benessere solo materiale non porta soltanto crescita economica, porta anche tanti disagi. Ieri in Cattedrale ho parlato delle nuove malattie psichiche che stanno aumentando e che nascono anche da un progresso sbagliato. Nelle nostre piazze ormai è diffusa la droga. Non so che futuro ci sia con tutto questo dilagare di droga. E poi le dipendenze psichiche, ad esempio dai giochi di azzardo: uno vuole fare soldi con il gioco e rovina se stesso e anche la propria famiglia. Aumentano le cliniche e i centri specializzati per la cura delle malattie psichiche, ad esempio l’anoressia, e delle loro conseguenze. In un paese dell’abbondanza crescono coloro che muoiono di fame perché non vogliono mangiare. Non perché hanno male allo stomaco, ma perché hanno malattie psichiche. Ci sono perfino nuove malattie dovute all’uso smodato e incontrollato di internet, tanto da provocare dipendenze che necessitano di terapie in apposite cliniche … e si potrebbe continuare.
Allora noi dobbiamo stare molto attenti perché non tutto quello che viene sbandierato come un progresso è per davvero un progresso delle persone umane. Abbiamo troppe volte pensato al progresso solo come accumulo di cose materiali. Il progresso è vero e reale quando comprende tutta la persona: quando abbiamo una buona famiglia, quando abbiamo buone relazioni tra di noi, quando abbiamo fiducia, quando abbiamo amore, quando abbiamo speranza. E tante volte invece non è questo l’obiettivo che propone la società. Siamo chiamati tutti, specialmente noi cristiani, ad avere una grande fede, a tenere alta la visione della vita e non abbassarla. Come immigrati, voi avete un compito importante: quello di portare una mentalità nuova, di immettere sangue nuovo al nostro popolo e anche una fede più viva.
Circa un mese fa mi è accaduto un fatto che mi ha meravigliato molto: ho incontrato due persone: uno era africano, uno di un’altra nazionalità. Lavoravano nella stessa azienda. L’africano era un cristiano molto convinto, gioioso che non aveva paura di parlare della sua fede. E sapete? Ha convertito l’altro che non era cristiano. E poi in quella fabbrica si bestemmiava: adesso grazie alla presenza di questi due immigrati i cattolici italiani non bestemmiano più. Io mi sono detto: ma guarda un po’, dovevano venire delle persone dall’Africa per convertire noi, per essere più cristiani.
Sta succedendo anche questo: tra i preti della nostra Diocesi aumenteranno quelli che non sono italiani o padovani di origine. L’altro anno ho consacrato sacerdote un inglese. In seminario abbiamo un africano, un altro che si sta preparando ad entrare in seminario viene dalle Filippine. Voi state apportando forza nuova, valori nuovi anche alla nostra Chiesa che è in Padova. Ma è importante che abbiate a vivere bene la vostra fede. Fate in modo che venendo qui, tante volte preoccupati di crescere materialmente, non abbiate a trascurare di crescere in umanità, nella fede per svolgere anche questo compito importantissimo. Ecco allora quello che ci dice la festa di oggi: cercare il Signore, c’è sempre una stella che ci guida. I Magi hanno visto un segno di Dio nel cielo: una stella. Hanno usato la loro ragione, per la loro scienza sapevano che annunciava qualcosa di bello, di grande. Ma non bastava per incontrare Gesù. Quando sono arrivati a Gerusalemme la stella è scomparsa. Allora hanno chiesto: dov’è nato il Salvatore, il re dei Giudei? E per saperlo cosa hanno fatto? Hanno aperto la Bibbia, l’Antico Testamento. Nei profeti hanno trovato il luogo dove doveva nascere Gesù: a Betlemme. Allora vedete: per conoscere Dio noi dobbiamo usare bene la nostra ragione. Ma non basta. Per capire Dio che si è fatto uomo, che è venuto in questo mondo, per capire a fondo la nostra vita, abbiamo bisogno di leggere la Parola di Dio. Noi abbiamo non solo l’Antico Testamento ma anche il Nuovo Testamento. Così vorrei invitare tutti voi ad approfondire le verità di fede, a conoscere la Parola di Dio, a fare in modo che i bambini, i ragazzi che nascono qui, che sono nelle vostre famiglie, nelle vostre comunità abbiano ad avere una solida catechesi. Ma anche che voi adulti possiate avere occasioni per approfondire la vostra fede.
È la Parola di Dio interpretata dal Papa, dai vescovi, dai sacerdoti, dispensata dai catechisti che ci fa capire profondamente il mistero di Gesù che è al centro della nostra fede.
Dice il vangelo che i Magi, seguendo la stella e le indicazioni che venivano date dalla Parola di Dio, arrivarono a Betlemme e la stella si posò nella casa dove stava Gesù. Essi entrarono, incontrarono Gesù con Maria e Giuseppe e furono riempiti di una grandissima gioia. Anche noi possiamo incontrare Gesù, Maria e Giuseppe in una casa: quella casa è la Chiesa. Anche noi possiamo essere pieni di gioia, perché è Gesù che dà senso alla nostra vita. Quando le cose vanno bene, oppure quando siamo nelle difficoltà, nelle tribolazioni, nelle prove, se c’è Gesù, se c’è Maria, se c’è Giuseppe noi riceviamo un grande aiuto. Ma dove noi incontriamo Gesù, qual è la casa dove oggi incontriamo Gesù? È la Chiesa, è la comunità, la parrocchia.
Ecco quanto è importante che ciascuno di noi abbia ad avere un riferimento nella comunità; abbia a partecipare, abbia ogni domenica a cercare di essere presente alla celebrazione dell’ Eucaristia. È importante avere una casa, avere una famiglia.
Il progetto di Dio è proprio questo: che ognuno di noi possa incontrare Gesù e vivere bene avendo una casa, avendo una famiglia. Io credo che il grande impegno di noi cristiani cattolici in Italia debba essere di fare in modo che la società abbia a provvedere per ognuno una casa, un alloggio, anche una comunità di riferimento, una buona famiglia. Tutto questo è di fondamentale importanza per la nostra crescita umana e cristiana.
Vogliamo allora oggi pregare il Signore, Maria e Giuseppe perchè ciascuno di voi possa avere una casa accogliente, possa trovare chi lo accoglie, possa sentirsi sempre bene in compagnia degli altri. È un grande impegno che tutti noi vogliamo prendere e per il quale pregare in questa celebrazione. Sotto lo sguardo di Gesù, di Maria e di Giuseppe celebriamo dunque questa Eucaristia con grande fede, con fiducia e speranza.
Il nostro papa Benedetto XVI ci ha chiamati a rinnovare la speranza. Il cristiano è sempre uno che crede, uno che spera, è uno che ama. Uno che crede: crede in Gesù, crede in Dio, vive la propria fede, dà un fondamento forte alla propria vita. Uno che spera sempre perché Dio è Padre, Dio è Provvidenza e si serve di tante persone per aiutarci. Mai cadere quindi in quella che è una malattia tanto diffusa nei popoli ricchi: la depressione. Noi cristiani dobbiamo reagire con una grande speranza. Far parte di una comunità è sempre una grande forza di speranza. Poi quello che più caratterizza tutti noi deve essere l’amore. L’amore che non dobbiamo soltanto attenderci dagli altri, lo riceviamo da Dio, ma dobbiamo manifestarlo anche agli altri. Ecco l’amore a Dio e l’amore al prossimo che vanno insieme.
Chiediamo al Signore che ci dia questa forza spirituale, che ci viene dalla fede, dalla vita della Chiesa. Che ognuno di noi si proponga in questo nuovo anno di essere un cristiano che crede, che spera e che ama. Se noi ci proponiamo questo il Signore sarà accanto a noi, ci aiuterà durante il corso di tutto quest’anno.
Che sia per voi e per le vostre famiglie il nuovo anno un anno di serenità, un anno di crescita, un anno di amore, un anno di giustizia e un anno di pace.
Sia lodato Gesù Cristo.
X Antonio Mattiazzo