Cerca di farsi ascoltare da chi crede in Dio. Si rivolge, naturalmente, a chi crede in Gesù Cristo, tanto da portane il nome. Sebbene, alla prova dei fatti, non sembri tanto naturale avere cuore aperto e braccia aperte verso i migranti. Perché di questo si tratta.
Papa Francesco, caparbiamente, si rivolge ai credenti anche quest’anno nella Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che tutte le Chiese del mondo dovrebbero celebrare domenica 29 settembre. Lo fa con un messaggio dal titolo “Dio cammina con il suo popolo”. E utilizza tre immagini significative tolte dalla Sacra Scrittura, dall’Antico e dal Nuovo Testamento, ad indicare una costante nel percorso della storia fin dalle sue origini: l’Esodo, il Buon Samaritano, Gesù migrante. Prendiamole in considerazione per poi far emergere in conclusione alcuni nodi da sciogliere.
L’ESODO
La storia raccontata nel libro dell’Esodo è la storia di un popolo in cammino. Lo stesso termine greco exodos, da cui il titolo del libro, indica “la strada che porta fuori, l’uscita”, ponendo come centrale il concetto di cammino, nel caso specifico un cammino di liberazione.
Non si tratta di una narrazione storica nel senso che si dà oggi al termine, in quanto il suo procedere ha una connotazione teologica: si riferisce al cammino che il popolo di Israele fa insieme al suo Dio, ed allo stesso tempo al cammino che il popolo fa verso Dio.
Ciò che ci interessa è che il libro dell’Esodo indica un dato antropologico, una costante della storia dell’uomo: è la storia di un viaggio che è cominciato all’alba dell’umanità e che si concluderà con il tramonto dell’umanità.
Scrive a tal proposito H.M. Enzenberger in un breve ma interessante libro, La grande migrazione: «Non è ancora stata chiarita con certezza l’origine dell’homo sapiens. Ma pare si sia d’accordo sul fatto che questa specie sia comparsa per la prima volta nel continente africano e che si sia sparsa per tutto il pianeta mediante una lunga catena di migrazioni caratterizzata da spinte complesse e rischiose. La sedentarietà non fa parte delle caratteristiche della nostra specie fissate per via genetica».
Fa eco il messaggio del Papa, dove si legge che «Dio precede e accompagna il cammino del suo popolo e di tutti i suoi figli di ogni tempo e luogo». Evidentemente anche dei migranti.
IL BUON SAMARITANO
«Ci sono dei buoni samaritani lungo la via», sottolinea il Papa. Un breve accenno, che rimanda ad altri scritti del Papa e che apre ampi scenari. Va ricordato infatti che la figura del Buon Samaritano è centrale nell’enciclica Fratelli Tutti: «Questa parabola è un’icona illuminante, capace di mettere in evidenza l’opzione di fondo che abbiamo bisogno di compiere per ricostruire questo mondo che ci dà pena. Davanti a tanto dolore, a tante ferite, l’unica via di uscita è essere come il Buon Samaritano».
Il rovescio della medaglia, come una sciabolata, sta nell’udienza generale in Piazza San Pietro, lo scorso 28 agosto: «Bisogna dirlo con chiarezza: c’è chi opera sistematicamente e con ogni mezzo per respingere i migranti. E questo, quando è fatto con coscienza e responsabilità, è un peccato grave. Non dimentichiamo ciò che dice la Bibbia: «Non molesterai il forestiero né lo opprimerai» (Es 22,20).
GESÙ MIGRANTE
Il noto passo di Matteo, al capitolo 25, identifica Gesù con il migrante, e la vita che sarà verificata sulla base delle “opere di misericordia corporale”. Il Papa, parafrasando il titolo del suo messaggio dice che «Dio non solo cammina con il suo popolo, ma anche nel suo popolo, nel senso che si identifica con gli uomini e le donne in cammino attraverso la storia – in particolare con gli ultimi, i poveri, gli emarginati–, come prolungando il mistero dell’Incarnazione».
I nodi da sciogliere
Siamo partiti dall’Esodo, che è un cammino di uscita e di liberazione. Ho l’impressione che in questo periodo storico sia chiesta, almeno ai credenti, una sorta di esodo: il passaggio da una cultura dell’indifferenza, a una cultura delle differenze, e da questa a una convivialità delle differenze. Era un percorso già delineato dai vescovi italiani nel lontano 1991, evidentemente bisognoso di maggiore forza e determinazione per essere attuato. Mi sembra che non siamo ancora a metà del guado. È ancora un grosso nodo da sciogliere.
Per darci coraggio potremmo impegnarci su qualcosa di più facile, com’è modificare il linguaggio: togliere via la parola “extracomunitario”, togliere “di colore” per riferirsi a una persona dalla pelle scura; sostituire la parola “straniero” che non ha più senso; e la parola “clandestino” che offende l’intelligenza.
Poche parole sul nodo della riforma della legge sulla cittadinanza, che andrebbe sciolto almeno per la considerazione che va data ai figli degli immigrati. Di parole se ne sono già spese molte, perché è dal 1992 che la politica ne discute. Parole al vento, a scapito delle persone. Eppure sono le persone il nostro patrimonio e il nostro futuro.
Don Gianromano Gnesotto
Responsabile Ufficio Migrantes Diocesana