“L’Albania è pronta per una grande partenza”, firmato Edi Rama, il Presidente.
Uno slogan efficace per il Giro d’Italia che quest’anno è iniziato in Albania, dal porto di Durazzo. È un’Albania cambiata da come la conoscevamo, dallo sconquasso degli anni novanta. È cambiato il porto di Durazzo, da quando partivano i barconi verso l’Italia, e da quando, nel ’39, come da foto dell’archivio Luce, le navi del regime fascista fecero la loro comparsa per colonizzare l’Albania.
Ecco che il Giro d’Italia iniziato in Albania ci rimanda a una memoria altrimenti sbiadita, a un colonialismo da operetta, che mostra le sue ridicole tracce nei centri di Shengjin e di Gjader, le due strutture dove vengono trasferiti alcuni immigrati fermati in Italia. Difatto, “esternalizzare le frontiere italiane” e impiantare in Albania due centri per immigrati, significa occupare un pezzo di territorio albanese e renderlo italiano. Perché è la condizione per garantire la giurisdizione italiana nelle procedure nei confronti degli immigrati entrati irregolarmente in Italia. Insomma, assomiglia ad una neo colonizzazione, messa in piedi per accontentare l’elettorato che non ne vuol sapere degli immigrati e per strizzare l’occhio al Presidente Rama.
Intanto in queste due strutture costate un occhio della testa dai contribuenti italiani, sono tanti gli albanesi che lavorano come operai e addetti alle pulizie, e che canticchiano Italia, Italia, ti je bota, Italia, Italia, sei meravigliosa. E ti credo! Lavoro e soldi, che bastano a turarsi il naso, anche se li trattiamo da subalterni.
Gianromano Gnesotto, responsabile Ufficio Pastorale dei Migranti